«Non darsi più, è darsi ancora. Significa dare il proprio sacrificio»
Marguerite Yourcenar, Fuochi
Marguerite Yourcenar, Fuochi
Lo scopo del sacrificio è ottenere attenzione dagli altri; è come dire: «Avete visto quanto sto male? Fate qualcosa per aiutarmi».
Chi reagisce al dolore con il sacrificio, tendenzialmente, ha un ego debole ed è bisognoso degli altri; chi reagisce con la compensazione, tendenzialmente, ha un ego forte ed è autonomo.
(Esempio: due persone vengono lasciate, una non esce più di casa e l'altra salta nel letto di chiunque respiri.)
Chi reagisce al dolore con il sacrificio, tendenzialmente, ha un ego debole ed è bisognoso degli altri; chi reagisce con la compensazione, tendenzialmente, ha un ego forte ed è autonomo.
(Esempio: due persone vengono lasciate, una non esce più di casa e l'altra salta nel letto di chiunque respiri.)
viva l'autonomia anche se a volte proprio non necessaria :|
RispondiEliminaLa compensazione è pur sempre un movimento, un fare qualcosa. Come giustamente hai detto, chi ha un ego forte esige l'azione, chi ha un ego debole preferisce annichilirsi. Mi viene in mente l'espressione "fame di vita": chi ha un ego forte generalmente ce l'ha e fa di tutto per compensarla. Chi ha un ego debole invece, per quanto chiasso faccia, pensa sempre di non meritare nulla e ogni sua azione sarà volta a distruggere ciò che lo circonda: niente di meglio che tagliarsi fuori dal mondo e passare il proprio tempo cercando scuse per le quali il mondo è tutto cattivo e orribile e non meritevole della persona afflitta.
RispondiEliminaSecondo me dimostrano molta debolezza entrambi gli esempi: chi sacrifica cerca attenzione, chi compensa dimostra solo di cercare disperatamente quelle conferme che non trova in sé: altro che autonomia.
RispondiElimina
RispondiEliminaFra, cosa intendi?
Clà, una cosa non mi convince del tuo commento. Se uno ha un ego debole, perché cerca scuse per cui il mondo non lo merita? Avendo un ego debole, è intimamente (e in buona parte inconsciamente) convinto di essere egli stesso a non meritare il mondo. Per questo si automutila. Convincersi che il mondo non ti merità è proprio di un ego forte; è un atto di compensazione.
Ila, quelle che ho descritto sono le due tendenze polari di reazione al dolore. È ovvio che entrambe mostrino debolezza, in quanto il dolore, per sua stessa natura, provoca debolezza. Io intendo forza e debolezza dell'ego, per come il termine viene inteso in psicologia.
Per come intendi il termine «debolezza», la forza sta nel non farsi deprimere e abbattere dalle esperienze dolorose.
Mi sono espressa male. Intendevo quello che hai specificato tu, la parola "scuse" è usata fuori luogo. :)
RispondiEliminavoglio dire che chi opta per la seconda scelta "in assoluto" ritengo che faccia meglio: prima o poi, a forza di saltare da un letto ad un altro, qualcosa di buono accade, anche magari sulla strada tra un letto e l'altro. diversamente nell'altro caso non può succedere nulla di buono o di cattivo, e ciò non porta da nessuna parte.
RispondiEliminama anche la prima soluzione può portare a situazioni che, col senno di poi, si preferiva evitare...
Mi sembra una bella cazzata.
RispondiEliminaBella, eh.
Però neghi che il sacrificio abbia un senso in quanto tale, senso che deleghi a un bene assente. Questa è una prospettiva intollerabile da chi ama la verità, perché il sacrificio spesso non si sceglie, ma è imposto. E da che mondo e mondo trovare il senso di quanto ci si impone è l'avventura che fa essere gli uomini fratelli, fratello.
Tartufone, ho letto solo ora il tuo commento. Puoi farmi un esempio di un sacrificio che "abbia un senso in quanto tale, senso che deleghi a un bene assente"? Grazie.
RispondiEliminaPer chiarire l’equivoco morfologico, sei tu che deleghi il senso del sacrificio a un bene assente, a un affetto che non c’è nel tuo esempio finale, e dunque alla compassione altrui – cosa si compatisce negli altri se non le lacune? I sacrifici trovano senso solo in un bene presente e più grande (non esci con i tuoi amici per uscire con la tua ragazza, il primo è un sacrificio che davanti all’alternativa non sembra quasi tale, se stai male mangi un brodino e non il vitello tonnato perché l’organismo ne giova ecc.). Detto questo, ci sono sacrifici imposti e strazianti, che appaiono assolutamente insensati: ed è per questo che i Salmi recitano “consapevoli della debolezza di fronte alla potenza del male chiediamo di mantenerci vigilanti”. Ovvero indagare ancora più a fondo le capacità della ragione, della carità e della realtà circostante per trovare la risposta.
RispondiElimina"I sacrifici trovano senso solo in un bene presente", dici. Non mi trovi del tutto d'accordo. Se rifiuto una cosa per averne ora un'altra migliore non ho sacrificato nulla, ho solo fatto una scelta. Il sacrificio, secondo me, è sempre in nome di un bene futuro (es. non mangio il cioccolato perché sono diabetico e se lo mangio starò male), o di un bene astratto (es. Tizia e Caia vanno pazze per me, io le vorrei entrambe ma ne rifiuto una perché è giusto farlo secondo le nostre regole sociali). Forse è questo il concetto di "bene assente" di cui parlavi?
RispondiEliminaAd ogni modo, questo post parlavo del sacrificio di se stessi: la tua ragazza ti lascia e tu non mangi più, non esci più con gli amici, smetti di studiare. Non lo fai perché non puoi farlo: non è come chi è malato e mangia il brodino. Ti stai volontariamente togliendo fonti di piacere e/o di sostenimento: ti stai insomma sacrificando, perché non ci guadagni niente; se non - appunto - la compassione altrui, che è ciò di cui, evidentemente, hai bisogno.