giovedì 17 dicembre 2009

Aforisma


Ci piace ciò che ci ricorda noi stessi.

sabato 5 dicembre 2009

Aforisma


La morte serve perché la vita non muoia.

martedì 1 dicembre 2009

Aforisma


La sfera del personale non è inscritta in quella del vissuto.

lunedì 23 novembre 2009

Sulla rabbia


La rabbia serve a darci l'energia per rimuovere un ostacolo che si frappone tra noi e un nostro scopo o desiderio (anche implicito). La sua intensità è proporzionale alla forza del desiderio e all'entità dell'ostacolo.

giovedì 5 novembre 2009

Sulla Verità


La Verità non si può dire; per questo ha più la forma di una domanda che di una risposta. La Verità, nel linguaggio degli uomini, vive nel paradosso.

martedì 3 novembre 2009

Aforisma


È la possibilità di morire che ci fa sentire vivi.

sabato 24 ottobre 2009

I consigli


I consigli sono una forma di rimpianto, e una forma di auto-perdono. I consigli sono nostalgia divenuta saggezza.

lunedì 19 ottobre 2009

Aforisma


Saremmo tutti felici, se solo lo sapessimo.

giovedì 15 ottobre 2009

Aforisma


Nessuno vuole morire; ma tutti vorrebbero qualcosa per cui poter morire.

martedì 25 agosto 2009

Di tanto in tanto, una regola non generale


A meno di casi di reale impossibilità, quasi sempre quando pensiamo di non riuscire a fare qualcosa in realtà non è vero. Possiamo utilizzare una prospettiva migliore: noi riusciamo a fare quella cosa, ma ora non possiamo ancora per via di questo o quest'altro temporaneo e risolvibile impedimento.

mercoledì 12 agosto 2009

Sull'istinto principe


L'istinto di autoconservazione (cercare sensazioni piacevoli e allontanarci da quelle spiacevoli) è come il Presidente della Repubblica: ha sempre l'ultima parola su tutto, ma in effetti non governa.
L'istinto che realmente determina e guida i comportamenti della nostra vita, così come i nostri gusti, è quello che ci spinge verso le sensazioni familiari.

lunedì 3 agosto 2009

Tipiche domande da periodo estivo


La ricerca della felicità è una questione morale? Abbiamo in quanto esseri umani dei doveri morali riguardo alla nostra felicità?
Mi pongo questa domanda per via di un'altra, vecchia, che mi è tornata in mente di recente: «Se stai con una donna, la ami e sei felice, ma ne ami decisamente di più un'altra che ti renderà però infelice, devi lasciare la tua donna per l'altra?». La domanda è ancora insoluta perché, se da un lato la felicità è un obiettivo prioritario rispetto all'amore (opinione mia), dall'altro l'amore comporta il dovere morale di lasciare la tua donna, se ne ami di più un'altra.
Ma ieri mi sono chiesto se per caso anche la felicità comportasse dei doveri morali. Sarebbe sicuramente un passo verso una risposta.
È aperto il dibattito... orsù dibattete quindi! Dibattiamo tutti insieme!

mercoledì 29 luglio 2009

Sul giusto


Lungi dall'aver esaurito gli argomenti sociodinamici, negli ultimi tempi sta prendendo sempre più piede nella mia mente il concetto di «giusto»: che cos'è, se esiste in forma universale, e soprattutto cosa abbia in comune con il Bene e con la felicità.
La prima cosa che mi sento di dire a riguardo è la seguente:
«Dalla ricerca delle regole nasce l'ossessione per il giusto: per la giustizia, per la giustezza».
Non lo definirei un discorso nuovo: le basi ci sono già tutte qui.
Credo mi ci vorranno molti mesi prima di avere qualche risultato.

martedì 14 luglio 2009

Continuazione del post precedente


«Tutte le famiglie felici si assomigliano; ogni
famiglia infelice è invece infelice a modo proprio»
Lev Tolstoj


Il post precedente pone automaticamente una domanda: «Perché la nostra mente indugia sulle cose brutte invece che sulle cose belle?». Essendo una domanda molto complicata, ho cercato (cfr. qui) una risposta che fosse più semplice possibile. Mi sono dato questa.
L'ottima Adelaide - che ringrazio per il contributo - mi fa notare che ai nostri occhi le cose brutte sono intrinsecamente più interessanti e attraenti. Perché? Secondo me perché il nostro è un cervello evoluto, e fa il suo lavoro di cervello evoluto, ovvero cercare soluzioni ai problemi.
Avete mai notato che le donne di casa trovano sempre qualcosa da sistemare, da pulire, da mettere in ordine? Anche quando la casa è assolutamente perfetta? Naturalmente lo fa perché il suo scopo biologico-evolutivo è quello di badare alla casa e alla famiglia. Ecco, il nostro cervello è un po' la nostra «donna di casa» personale: va in cerca sempre e continuamente di problemi, perché è esattamente quello il suo scopo. Non ci fossero cose di cui aver paura, cose da risolvere, il nostro cervello evoluto non servirebbe assolutamente a niente.
Siamo portati all'infelicità per non rendere inutili miliardi di anni di evoluzione biologica.
Ed ecco che vediamo problemi ovunque, piccoli sassolini lungo il nostro cammino ci sembrano vere e proprie montagne da scalare, e apparentemente non ci accorgiamo nemmeno di tutte le cose belle che abbiamo attorno. Perché le cose belle sono già «a posto», non c'è nulla da cambiare in esse: proprio perché sono già belle, vanno già bene così. Non c'è bisogno che il nostro cervello le consideri perché non rappresentano minacce e soprattutto non sono problemi.
Questa è la risposta più semplice che sono riuscito a darmi. Si tratta in sostanza di un «effetto di selezione» del nostro cervello. E naturalmente il consiglio è quello di ridimensionare l'importanza, la dimensione e la priorità delle cose brutte che vediamo nella nostra vita. Seguire una sorta di «dieta mentale» che ci faccia indulgere più sulle cose belle che su quelle problematiche. Il che può sembrare difficile, ma pensate un attimo a come reagireste se vi consigliassero una dieta a base di tutti gli alimenti più buoni, più sani, più gustosi e che vi piacciono di più...

sabato 4 luglio 2009

Ennesima* considerazione sulla felicità


[* Qui, qui, qui e qui le altre.]

Certamente tutti noi abbiamo dei motivi per essere infelici, o per non essere felici: ma non occorre nessun motivo per essere felici.
Basta con questa idiozia che se si è infelici per qualcosa allora non si può anche essere felici. Se in noi possono coabitare sentimenti contrastanti, allora possiamo anche essere infelici e felici.
E soprattutto, più in generale, basta con questa idiozia che si può essere felici solo a determinate condizioni. «Sarei felice se avessi... sarei felice se non avessi...»: sono tutte assurdità! Bisogna essere felici e basta, senza motivo! Che cosa cosa aspettiamo per essere felici? Un biglietto d'invito?
Se non si è felici, il modo migliore per cominciare è alzare gli angoli della bocca. Sorridere rende pù felici: provare per credere!

giovedì 2 luglio 2009

Spunto (un poco provocatorio) di riflessione


Il sesso, a conti fatti e a ben guardare, non è affatto tra le cose più intime che puoi fare con una donna.

sabato 20 giugno 2009

Sull'intervento in sistemi sociodinamici / 3


[Qui il /1 e qui il /2.]

Spesso, soprattutto quando si tirano in ballo discorsi ambientalisti o ecologisti, si sente lo slogan «Pensa globalmente, agisci localmente». Bello slogan, ma non so quanto in realtà saggio. Almeno per quanto riguarda i discorsi sociodinamici (di cui so qualcosa) credo valga di più la visione opposta: «Pensa localmente, agisci globalmente».

«Agisci globalmente»:
I sistemi sociodinamici, più di altri tipi di sistemi, sono particolarmente olistici ed estremamente orientati all'equilibrio. Per questo qui e qui ho proposto un approccio sostanzialmente «al sistema»: l'idea di base è che modificando l'atteggiamento di anche solo un suo elemento, tutto il sistema nel suo complesso subirà delle modifiche per portarsi in una nuova condizione di equilibrio. L'esempio di Adalgiso, Bernardina e Ciccisbea rende bene l'idea, in quanto Adalgiso, per risolvere il problema ha agito nel sistema nel suo insieme, tranne ovviamente l'elemento dove effettivamente risiedeva il problema ovvero Bernardina, in modo tale che quest'ultima, di fronte alla nuova visione complessiva del sistema propostale da Adalgiso, cambiasse il suo stesso atteggiamento per ripristinare l'equilibrio interno al sistema stesso. Per questo dico «Agisci globalmente»: l'intervento in sistemi sociodinamici è basato su un'azione a livello dell'intero sistema.

«Pensa localmente»:
D'altro canto ritengo che, nonostante l'olismo di cui sopra, il problema di un sistema sociodinamico - a meno che non sia stato costruito male - sia sempre in un punto preciso. Se Bernardina è gelosa di Ciccisbea il problema è di Bernardina, non è dell'intero sistema. Il sistema non ha nessun problema, funziona come deve funzionare: ma non ci piacciono le conseguenze, e allora interveniamo per cambiarlo. Se Adalgiso avesse pensato globalmente si sarebbe impelagato in discorsi sulla moralità della gelosia, sulla liceità del suo rapporto con Ciccisbea e chissà come ne sarebbe venuto fuori. Lui ha pensato localmente, ha preso il problema semplicemente per quello che era, e l'ha collocato esattamente nel punto dov'era. Per questo ha avuto successo. E per questo io dico «Pensa localmente».
<br>

mercoledì 17 giugno 2009

Sul quando tirarsi su


Per tirarsi su non basta essere stanchi di una situazione: bisogna essere stanchi di essere stanchi di quella situazione. Per questo motivo la scelta di quando tirarsi su (al di là del come) va fatta con cura: per avere maggiore efficacia bisognerebbe aspettare il momento in cui si è stanchi di essere stanchi.

[Dopo la paura della paura, ora la stanchezza della stanchezza... La mia attitudine alla meta-concettualità sta degenerando...]

lunedì 15 giugno 2009

Sulla verità


Il problema più grande con la verità non è come trovarla, né come interpretarla o che significato darle: il problema più grande è cosa farcene, è come usarla; e, qualche volta, come sopportarne il peso.

martedì 9 giugno 2009

Principio zero del rapporto uomo-donna


Sicuramente nel post precedente ero troppo preso dal discorso sugli ex per accorgermi di aver sottovalutato una cosa che ho scritto. Ho parlato di uomini come fiumi e donne come mari per mettere una pietra di volta sul discorso degli ex; quando in realtà, pensandoci bene, mi sento di credere invece che quello può essere il concetto-base di ogni considerazione sul rapporto uomo-donna. Riscrivo quindi:
«Gli uomini sono dinamici, come i fiumi, e le donne sono statiche e cicliche, come il mare, verso cui tutti i fiumi scorrono. Gli uomini percorrono una strada, le donne abitano un luogo».
Questo concetto definisce che cos'è un uomo rispetto a una donna, e viceversa.

domenica 17 maggio 2009

Sull'ingombro ontologico degli ex nei due sessi


«Le storie iniziano, le storie finiscono». È una frase che uso spesso. Non la dico con tono rassegnato, né entusiasta. La dico come dato di fatto. Si chiamano storie, e in quanto tali devono prima o poi finire. Qualcuna dura un giorno solo come le farfalle, altre durano anni come una scritta sul muro, e altre ancora di più. L'auspicio è che tra tutte le nostre storie ce ne sia una che finisca con la nostra morte.
Così nella vita ci capita che un certo numero di storie finiscano, e dopo un po' ti domandi cosa fare di tutti quegli scatoloni. Qualcuno l'hai sigillato ermeticamente, e sai che non lo riaprirai più; qualcuno lo lasci soltanto socchiuso, sai che è lì e non si sa mai che un giorno... qualcun altro magari non riesci a chiuderlo, e ti sembra di non avere nemmeno la forza o il coraggio di nasconderlo in soffitta.


Dopo questa (splendida) introduzione, quello di cui volevo parlare riguarda la differenza con cui uomini e donne vivono l'ingombro di tutti i loro scatoloni. Questa differenza a mio avviso riflette le modalità profonde dei due sessi. Gli uomini sono dinamici, come i fiumi, e le donne sono statiche e cicliche, come il mare, verso cui tutti i fiumi scorrono. Gli uomini percorrono una strada, le donne abitano un luogo.
Un uomo in genere si porta appresso tutte le sue storie ammassate dentro il suo zaino; una donna invece le tiene ognuna in una stanza diversa della propria casa, stanze con le imposte chiuse e la luce spenta, in quanto ora ne abitano un'altra. (Ricordo, sono generalizzazioni spaventose, schematizzazioni schifosamente generali. Io sono tremendamente Chunk Up.)
Da questa considerazione, ogni altra che si può fare a riguardo discende di conseguenza.

venerdì 15 maggio 2009

Ancora sulla paura


Ci sono solamente due forze che ci spingono ad agire: una forza che ci avvicina a ciò che vogliamo, e una che ci allontana da ciò che non vogliamo. La prima è l'amore, e la seconda è la paura. Si può scegliere di percorrere una via per amore, o si può scegliere di non prenderla per paura. Non ci sono alternative.
E la ragione?, si può chiedere. La ragione non è una forza, tantomeno contrapposta all'amore (come troppo spesso si sente dire). La ragione è solo l'arbitro del tiro alla fune tra amore e paura, e ad essa spetta il compito di scegliere quale dei due è più forte, oppure quale dei due far vincere.
Chi sceglie di non percorrere una via sceglie per paura, chi invece sceglie di percorrere una via sceglie per amore. E se vogliamo che in noi domini l'amore piuttosto che la paura, dovremmo sempre scegliere di percorrere una qualche via, piuttosto di non percorrere un'altra.

Commento ad una frase di Carlos Castaneda:
A questo proposito mi sono imbattuto di recente in questa frase:
«Qualsiasi via è solo una via e non c'è nessun affronto nell'abbondonarla, se questo è ciò che il tuo cuore ti dice di fare. Esamina ogni via. Quindi poni a te stesso una domanda: Questa via ha un cuore? Se non lo ha non serve a niente».
Ora, io spero che il famoso scrittore non me ne voglia, se non altro per l'amore che nutro per la letteratura sudamericana: ma io penso che siano tutte minchiate.
È vero, non c'è nessun affronto ad abbandonare una via. È proprio questo il punto. Abbandonare una via è sempre una fuga, se non scegliamo di prendere al suo posto un'altra via migliore. L'unico affronto è quello verso noi stessi, dimostrandoci deboli e codardi.
Non esistono vie con un cuore e vie senza un cuore. Ci sono le vie e basta, e siamo noi a scegliere. Siamo come barchette in mezzo al mare, con un certo numero di rotte che possiamo prendere. Le rotte sono solo linee sulla mappa; sono solo acqua da cavalcare. Il cuore ce lo abbiamo noi, ed è questo a stabilire se una via serve a qualcosa o meno.
La domanda che ci si deve porre è piuttosto questa: «Ho il cuore di percorrere questa via?». Se non ce l'hai allora non prenderla. Va bene, non c'è niente di male. Ma non dare la colpa alla strada: hai scelto di abbandonarla solo ed unicamente per una tua paura.

martedì 21 aprile 2009

Sulla paura


«The only thing we have to fear is fear itself»
Franklin Roosevelt


Quando siamo di fronte ad un bosco di notte, non entriamo. Per paura dell'orso, ci dice la nostra mente.
Il discorso non fa una piega quando siamo davvero di fronte ad un bosco di notte. Ci fa sopravvivere. Ma la vita di oggi non è più così: ciò che ci fa paura non sono più sfide alla nostra sopravvivenza. Diciamo che non entriamo nel bosco perché abbiamo paura dell'orso; ma non capiamo che siamo di fronte ad un bosco, e non ad un orso. E non c'è motivo per avere paura di un bosco.
Fuor di metafora, i «boschi» oggi sono tutto meno che dei boschi; e non hanno certo dentro nessun orso. Ma il nostro cervello non sa fisiologicamente distinguere la paura del bosco dalla paura dell'orso.
La nostra imperfezione più grande in quanto esseri sociali è che confondiamo la paura di qualcosa con la paura di aver paura. Potremo vivere tutti molto meglio quando capiremo che l'unica cosa di cui abbiamo davvero paura è la paura stessa.

mercoledì 15 aprile 2009

Sull'intervento in sistemi sociodinamici / 2


Nel post precedente abbiamo detto, in sostanza e ad esempio, che se una persona ne odia un'altra è praticamente impossibile convincerla ad amarla, conviene piuttosto cambiare il significato di questo odio facendo appello ai motivi che l'hanno causato.

Prendiamo l'esempio di Adalgiso, felicemente fidanzato con Bernardina e amico di Ciccisbea. Il problema è che Bernardina è gelosa di Adalgiso perché passa molto tempo con Ciccisbea che è molto più figa di Bernardina. Il fatto è che Ciccisbea è una lavapiatti mentre Bernardina ha recentemente vinto il Premio Nobel per la Medicina, e per questo Adalgiso sta con lei e non con Ciccisbea.
Ora, la struttura del sistema è questa. Possiamo fare le seguenti considerazioni.
  1. La struttura del sistema vede Adalgiso come elemento centrale. Pertanto Adalgiso, se vorrà risolvere la seccatura, dovrà impostare il discorso non su un puro confronto tra Bernardina e Ciccisbea, ma dovrà mettersi al centro quasi come un arbitro.
  2. Notate che tra Bernardina e Ciccisbea non ho scritto «gelosia» ma «invidia», perché è ovvio che la gelosia non è altro che invidia proiettata. Lei è migliore di Ciccisbea, ma invidia la sua bellezza. Il problema è solo questo. Pertanto sarà inutile che Adalgiso faccia a Bernardina un discorso del tipo «Ma tu hai il Premio Nobel e lei è una lavapiatti», perché il problema di Bernardina non risiede qui ma nella superiore bellezza di Ciccisbea. Qui dovrà agire Adalgiso, facendo in modo non che questo sentimento cambi (è impossibile, Ciccisbea è più bella di Bernardina e anche se Adalgiso dicesse il contrario lei non gli crederebbe), ma sfruttandolo a proprio vantaggio.
  3. È inattivo l'elemento del Premio Nobel, ovvero la superiorità intellettuale e umana di Bernardina. Chiaramente, se Adalgiso vuole ottenere qualcosa, sarà bene che lo faccia diventare attivo, visto che è il punto di forza di Bernardina.
In base ai punti sopra, Adalgiso decide di fare a Bernardina questo discorso (tra parentesi quadre è indicato il punto a cui di volta in volta si sta facendo appello):
«Cara Bernardina, capisco come ti senti. Ma vedi, il parametro con cui io [1] valuto una persona non è la bellezza. Io giudico il valore di una persona in base alla sua forza [2]. Ciccisbea è una brava persona e io per questo [1] le voglio bene, non certo perché è bella [2]. A volte mi sembra che lei abbia bisogno di ostentare la sua bellezza perché si sente insicura di sé, perché non ha altre qualità da mostrare [3]. E sinceramente un po' la compatisco per questo [1], mi dispiace per lei. Tu invece non hai bisogno di mostrare nulla [2], perché quello che sei è così bello che io [1] posso solo rimanere incantato [3]».
Visto? Adalgiso non ha provato minimamente a spegnere l'invidia, ma a trasformarla in un'arma «contro» Ciccisbea. Bernardina continuerà a percepirsi meno bella di Ciccisbea, ma ora vedrà questa cosa come un suo punto di forza; questo punto di forza valorizzerà il suo recente viaggio a Stoccolma, che Ciccisbea non ha nel curriculum, e che prima Bernardina non considerava nel suo confronto con Ciccisbea.
Direi che un lavoro migliore Adalgiso non poteva farlo.

Sull'intervento in sistemi sociodinamici / 1



«La funzione è struttura, e la struttura è funzione»
Paradigma della biologia molecolare


Un sistema è un insieme di elementi in relazione tra loro. Chiameremo le relazioni tra i vari elementi dinamiche. L'insieme degli elementi[*] e delle dinamiche costituisce la struttura del sistema.

Il funzionamento di un sistema riflette la sua struttura, e la sua struttura riflette il suo funzionamento. Non si può quindi agire in maniera efficace e consapevole in un sistema se non si è prima compresa la sua struttura.

In sociodinamica, tipicamente gli elementi sono rappresentati dalle persone e le dinamiche dai loro sentimenti reciproci (in senso lato). La particolarità del sistema sociodinamico è di essere notevolmente sclerotico, poiché di base nessuno vuole cambiare se stesso né i propri sentimenti. Per questo motivo il metodo più efficace per intervenire su un sistema sociodinamico non è di modificarne le dinamiche, ma di renderle più efficienti.

Individuata quindi la struttura del sistema (elementi attivi/inattivi e dinamiche), il metodo generale consiste nel riprogrammare le dinamiche in modo che siano quanto più consistenti con la struttura ideale del sistema stesso[**]. La struttura ideale è naturalmente quella che realizza i nostri scopi secondo il paradigma “struttura <--> funzione”. Assieme alla struttura, cambierà automaticamente anche il funzionamento del sistema stesso.

Nel prossimo post chiarirò tutto (spero) con un esempio.


[*] - Ci sono quasi sempre degli elementi inattivi, o latenti, nel senso che appartengono al sistema nel suo complesso ma non partecipano alle sue dinamiche.

[**] - Per questo possono essere anche attivati elementi inattivi del sistema, o viceversa.

venerdì 27 marzo 2009

Sulla ricerca della perfezione


Versione distillata (nel solito stile «Appunti»):

La ricerca della perfezione è uno strumento necessario per la ricerca del bene, da cui si ottiene la felicità (come già detto).
Il rischio di questo meccanismo sta nel bypassare il passaggio del bene. Confondere la ricerca della perfezione con la ricerca della felicità comporta l'intolleranza (ovvero la perdita della dolcezza), impedendo così di ottenere la felicità.
Per questo è assolutamente necessario, se si vuole essere davvero felici, comprendere che la felicità è il fine ultimo e la perfezione è un suo strumento.


Versione esaustiva (perché questa cosa è davvero importante):

Vorrei portare all'attenzione un vecchio post del buon Beppe. Leggetelo, per favore; è molto breve. Come al solito io ci metto sempre più di un anno per capire le cose intelligenti, e questo la dice lunga sulla mia intelligenza.
C'è un momento nella vita di alcune persone in cui queste si accorgono del potere delle parole, dei gesti; in cui capiscono che una cosa detta così è perfetta, fatta così è perfetta. Scoprono che c'è un modo perfetto di fare le cose, capiscono qual è e sanno come comportarsi di conseguenza. E siccome essere perfetti è meglio di essere buoni, ci si spinge alla perfezione. È naturale, è parte della natura umana. Chi l'ha vissuto sa esattamente di cosa parlo.
Chi viene eletto alla ricerca della perfezione irrigidisce la propria capacità di accettare gli errori. I passi sono tre.
  1. Il primo passo è di non saper più tollerare gli errori degli altri. Siccome noi ci facciamo un culo così per essere perfetti, pretendiamo che gli altri lo siano. Sembra strano, ma se ci si pensa non lo è. Poco importa se loro non hanno fatto il nostro percorso e devono ancora scoprire e capire molte cose; non importa neanche se a loro non interessa minimamente il raggiungimento del bene supremo: l'importante è che noi siamo perfetti in qualcosa, loro sbagliano e quindi non possiamo tollerare gli errori degli altri. Non possiamo circondarci di persone che sbagliano queste cretinate, che pure sbagliavamo anche noi magari solo qualche mese fa. Sono cretinate, ma non è importante dove o cosa hanno sbagliato, importa solamente che hanno sbagliato.
  2. Il passo successivo è di non saper più tollerare i propri errori. Se so padroneggiare la perfezione, non sono più tenuto a sbagliare. Ogni mio sbaglio è un doppio sbaglio, e il secondo è molto più grave del primo.
  3. Il passo finale è non saper tollerare gli errori della vita, vedendone chiaramente tutti gli aspetti imperfetti. Anche se consapevoli che la vita non è né perfetta né imperfetta, né buona né cattiva, né giusta né sbagliata.
Sopportare il peso di tutti questi errori rende inevitabilmente infelici, pur nella strada verso la felicità.
Il bene ha un lato buono e un lato cattivo. Sembra un paradosso perché il bene dovrebbe essere il lato buono; ma è così. Il lato buono del bene è che se tu pianti un semino buono, la pianta che ne deriva dà come frutto la felicità. Il lato cattivo (o meglio, ingannevole) è appunto che si rischa seriamente di confondere la perfezione con la felicità, e questo porta all'intolleranza che in fondo non è altro che la perdita della dolcezza. Tempo fa il mio problematico slogan era «L'esperienza è la tomba della dolcezza»; dico «problematico» perché, se è vero questo, allora cercare il bene per poter essere felici in realtà si dimostra un modo per perdere quella felicità che tanto si cerca. Questo era il mio problema: se il bene porta alla felicità ma l'inseguimento del bene no, come si fa ad essere felici (che è per me lo scopo della vita)?
Fortunatamente, questo impasse filosofico è soltanto apparente. Per spiegarmi userò una metafora: è come il pianoforte. Il pianoforte, contrariamente ad esempio alla chitarra, è uno strumento con cui è challenging iniziare a rapportarsi. Quando ho iniziato trovavo difficile la gestione indipendente delle dieci dita: ci voleva tecnica. Finché non padroneggi la tecnica, non puoi suonare la musica ma solo le note. Spero capiate la differenza. Ecco, la metafora è che suonare a puntino tutte le note è la perfezione, mentre suonare la musica, beh, quella è la felicità. All'inizio è facilissimo confondere le due cose, e da questo deriva il mio problema sulla tomba della dolcezza. Ma poi, quando sei padrone della tecnica, puoi usarla per suonare la musica e non per suonare tutte le note perfettamente. Detto in altre parole, per usare il bene al fine di essere felice devi saper padroneggiare il concetto di perfezione. Ma il ruolo della perfezione, per quanto mi riguarda, finisce qua.
Come il pianista che padroneggia la tecnica automaticamente, senza vederla come lo scopo dell'esecuzione ma come lo strumento per produrre la musica, così la persona che vuole essere felice deve imparare a padroneggiare la perfezione in modo del tutto naturale, capendo che è solo lo strumento per produrre la felicità.
Prego ognuno di voi di rifletterci attentamente.

lunedì 23 marzo 2009

Sulla saggezza


Quasi tutte le domande semplici hanno una risposta molto complessa; e quasi tutte le domande complesse hanno una risposta molto semplice.
La persona saggia è quella che sa trovare risposte semplici alle domande complesse, e risposte complesse alle domande semplici.

giovedì 19 marzo 2009

Pro bugie bianche


Gli unici valori assoluti sono il Bene e il Male. La verità è solo uno strumento per ottenere il bene. In quanto strumento, deve sottostare al fine del bene; non deve essere usato indiscriminatamente.
Naturalmente se si può evitare di dire bugie o di omettere la verità è meglio farlo. Ma dire la verità quando questa può fare del male (che non vuol dire risparmiare dolore a qualcuno, vuol dire proprio «male») è come usare un coltello per infilzare una persona e poi giustificarsi dicendo: «Beh, era un coltello, il suo scopo è tagliare».

lunedì 16 marzo 2009

Omaggio ad Aidi


«Ogni mia considerazione sulla felicità parte dall'ipotesi che la felicità e l'infelicità non stanno nelle cose che abbiamo, ma in come le vediamo. Le persone felici vedono le cose in modo profondamente e sostanzialmente diverso da quello delle persone infelici. [...]
«Per questi motivi penso che non puoi giudicare il comportamento delle persone infelici se hai l'ottica di una persona felice. Non serve a niente dire ad un infelice “guarda quant'è bello il mondo”. Un infelice è capace di guardare solo quello che non ha [...], e non c'è da sottovalutare che l'infelicità dà un conforto da cui è paradossalmente difficile separarsi».


[Per capirci di più: qui.]

lunedì 2 marzo 2009

Sul sacrificio


«Non darsi più, è darsi ancora. Significa dare il proprio sacrificio»
Marguerite Yourcenar, Fuochi


Lo scopo del sacrificio è ottenere attenzione dagli altri; è come dire: «Avete visto quanto sto male? Fate qualcosa per aiutarmi».
Chi reagisce al dolore con il sacrificio, tendenzialmente, ha un ego debole ed è bisognoso degli altri; chi reagisce con la compensazione, tendenzialmente, ha un ego forte ed è autonomo.

(Esempio: due persone vengono lasciate, una non esce più di casa e l'altra salta nel letto di chiunque respiri.)

mercoledì 25 febbraio 2009

Risveglio

La primavera ci saluterà
lasciandoci piccoli raggi di sole
sul letto
come tanti gattini

apriremo gli occhi e li sentiremo
sulla nostra pancia
gridare

ci stringeremo le mani
sotto le lenzuola

avvertiremo chiaramente
di essere
in tre

(24.2.2009)

martedì 24 febbraio 2009

Versi per un compleanno


Sarà caldo forse fuori

quando festeggeremo il tuo

compleanno

grazie per essere venuto mi dirai

e scioglierò dal collo

tutta rossa

la mia timida sciarpa

ci diremo cose come si spande nell'aria

un profumo lontano

come un albero che non ha foglie

ma dà già i fiori

miracolosamente

diremo cose che sono solo

punteggiatura

fino a fine nottata

guarderemo insieme l'alba dei tuoi

trent'anni

ci copriremo bene gli occhi

per non sapere cosa avremo un giorno

da ricordare

per non scoprire il

segreto

(23.2.2009)

venerdì 20 febbraio 2009

Il motivo per cui la gente si allontana da me


Le persone si identificano con i propri difetti, non con i propri pregi. Per questo nessuno vuole modificare i propri difetti. Sbagliano, magari sanno di sbagliare, ma non vogliono correggere questi errori e anche solo l'ipotesi di eliminarli per vivere meglio li terrorizza.
Perché? Perché i meccanismi perversi si sviluppano per superare i traumi. I nostri difetti ci hanno permesso di sopravvivere ai traumi, e per questo li difendiamo con le unghie e con i denti. Senza renderci conto che ci fanno vivere peggio; e per giunta senza motivo, visto che la causa del trauma non esiste più da molto tempo.

Immaginatevi di dover arrivare in un posto ma ci sono lavori per strada. Ci sarà una deviazione che vi fa arrivare comunque ma in modo più lungo, difficile e rischioso. Però è l'unico modo per arrivare dove dovete arrivare. Ad un certo punto i lavori finiscono, ma nessuno vi avverte e nessuno sposta i cartelli di deviazione: e voi continuate per sempre a prendere questa deviazione perversa e dolorosa fino a che non diventa un'abitudine che si cristallizza come parte di voi.
E a quel punto non ci volete più rinunciare, nonostante sia una fatica masochista e ormai assolutamente inutile.

Per questi motivi, se vuoi guarire una persona dai suoi difetti non puoi dirle che sbaglia: devi riuscire - mentre lei non vede - a togliere i cartelli di deviazione di modo che possa vedere da sola che può tornare a prendere la strada normale; e solo a quel punto convincerla che deve farlo, per se stessa.

lunedì 16 febbraio 2009

Rivedersi un mattino in febbraio


...........................non ti muo
vere e un filo di luce carezza
che io non ti ho data ti cadde
distratto sui bordi del viso

rivedersi un mattino in febbraio
come accorgersi d'essere svegli
dopo estati e natali e persone
dopo persino l'america
sopra una tovaglia gialla
col mondo che fuori respira

la forchetta a raccoglier nel piatto
il dubbio ceruleo dei tuoi occhi
il coltello a tormentar parole
come capricci di velo offerti
alla bora

.............e il passato è talmente
presente che questo momento
sembra ancora dovere arrivare
mentre tu sembri solo memoria
dentro un bicchiere di nostalgia
che ho spanto per sbaglio dagli occhi
pensando non ti muo io ti
vere io ti

(Modena, 16.2.2009)

giovedì 12 febbraio 2009

L'altra sera mentre un amico parlava ad una ragazza toccava il maialino appeso al cellulare di lei, allora ho pensato che lei gli piacesse


Spesso per comprendere il significato di un comportamento è sufficiente chiedersi a che cosa quel comportamento assomiglia in termini di dinamiche fondamentali.

venerdì 6 febbraio 2009

Ancora* sulla felicità


Esiste una felicità che consiste nella perfetta armonia (assenza di tensioni, completa autoconsistenza, senso di continuità) tra il presente e il passato.

[*Della felicità ho già parlato qui.]

venerdì 30 gennaio 2009

Se vuoi conoscere a fondo una persona, non badare a quello che dice ma a cosa fa mentre lo dice


Le dinamiche più grandi e importanti di una persona si esprimono in modo molto più sincero, trasparente ed efficace nei comportamenti più piccoli, semplici e apparentemente insignificanti. I comportamenti su larga scala sono inquinati dalle questioni culturali e sociali.
Ogni dettaglio del comportamento di una persona è conseguenza di una dinamica fondamentale. Fortunatamente non è necessario sapere a priori come: basta osservare molto, e quando si avrà un numero sufficiente di dettagli questi permetteranno di determinare una teoria organica su quella persona.
Allo stesso modo, per trovare le incognite di un'equazione occorre affiancarla ad un numero sufficiente di altre equazioni che contengano quelle incognite.

venerdì 23 gennaio 2009

Smettiamola una buona volta di pensare che i paradossi logici impediscono alle cose di essere contraddittorie


È vero che tutte le persone sono uguali, ed è vero che tutte le persone sono diverse. Sbaglia chi crede in una affermazione e non nell'altra.
Credere nell'uguaglianza delle persone serve per ammettere che noi, al posto loro, faremmo le stesse cose: e questa è una porta per la comprensione, per l'empatia; credere che tutte le persone sono diverse serve per ammettere che il diritto che noi abbiamo di pensare quello che pensiamo perché il nostro cervello è fatto così e la nostra vita è andata così è un diritto di tutti: e questa è l'altra porta per la comprensione, per l'empatia.

venerdì 16 gennaio 2009

Tre domande


Per comprendere le motivazioni profonde dei comportamenti delle persone, spesso sono sufficienti due domande:
  • «Cosa farebbe se fosse un uomo delle caverne?»;
  • «Cosa farebbe se fosse un bambino piccolo?».
Per capirle davvero, però, ne basta soltanto una:
  • «Cosa farei io, se fossi lui?».
In fondo l'empatia è questo.

sabato 10 gennaio 2009

Ringraziamenti


«Happiness is only real when shared»
dal film Into the Wild

«Solitudine non è essere soli
è amare gli altri inutilmente»
Mario Stefani


Il 21 dicembre dell'anno scorso mi è stato regalato questo libro. Per tanti versi è un libro illuminante. L'ho studiato in un periodo in cui ero assolutamente pronto per ricevere quei concetti. Li ho incorportati, li ho fatti miei. E probabilmente da lì sono cambiate tante cose, per me.
Sostanzialmente quel libro è un ottimo manuale di istruzioni per essere felici. Sono istruzioni validissime, ma è come se mancasse un passaggio, e cioè: Se tutti fossero felici, l'umanità sarebbe felice? Ci ho pensato tanto, e la risposta è: no.
Allora ho elaborato l'impianto che ho sintetizzato nei post precedenti. Ho migliorato e ampliato le considerazioni di De Mello perché se non si tiene conto del fatto che la felicità è una forma di relazione tra le persone non si può vincere la solitudine. Me ne faccio poco, della mia felicità, se è solo mia; e del resto preferisco appartenere ad un'umanità felice piuttosto che essere un uomo felice in mezzo ad altri uomini felici.
Nel 2008 ho fatto il mio lavoro di tesi, ma il vero sforzo mentale dell'anno passato lo ho messo per costruire questo impianto. Non fatevi ingannare dal fatto che è scritto in pillole.
Chiaramente le mie considerazioni sono a loro volta suscettibili di correzioni e miglioramenti. Se qualcuno le facesse profondamente proprie potrebbe farle progredire. Ed è quello che mi auspico, perché si tratta della felicità di tutti.

giovedì 8 gennaio 2009

Conclusioni


Uno scambio di amore genera felicità, che a sua volta stimola ulteriori scambi di amore instaurando un circolo virtuoso. Siccome questo in linea di principio può valere per tutti contemporaneamente, l'umanità nel suo insieme può essere più felice a patto che tutti siano in grado di dare amore e che sappiano padroneggiare i seguenti strumenti:
  1. Etica, per trovare la cosa giusta da fare. La cosa giusta è quella che avrà conseguenze migliori, quindi la capacità di fare buone previsioni è fondamentale.
  2. Empatia, per trovare il modo giusto di farla. Ogni persona è empatica, quindi per comportarsi come tale bisogna solo essere consapevoli di esserlo.
  3. Proprietà di linguaggio, per trovare il modo giusto di comunicarla. Di questo si occupano discipline come la programmazione neurolinguistica.

mercoledì 7 gennaio 2009

Definizione sociodinamica di felicità


«And in the end
the love you take
is equal to the love
you make»
The Beatles, The end

Il calore che sentiamo sotto le coperte è quello che noi stessi abbiamo dato alle coperte e che queste ci "restituiscono".
Allo stesso modo, definito «amore» qualsiasi sentimento atto a fare del bene al prossimo, la felicità è l'amore che si dà empaticamente agli altri e che dagli altri, prima o poi, torna indietro.
In termodinamica uno scambio spontaneo di calore produce un aumento di entropia nell'intero sistema; in sociodinamica uno scambio empatico d'amore produce un aumento di felicità nell'intero gruppo.

martedì 6 gennaio 2009

Seconda considerazione importante attorno all'esempio precedente


La creazione della felicità nell'esempio precedente è stata dovuta primariamente a come sono stati dati i consigli in termini di linguaggio.
Nella fattispecie si tratta di linguaggio verbale («Non fare questo» invece di «Fai quest'altro»), ma per «linguaggio» si intende in generale qualsiasi forma di comunicazione, posto che è impossibile non comunicare.
La felicità non è una questione di linguaggio, ma la sua creazione ne è imprescindibile. In altri termini, la felicità non è una situazione individuale bensì una forma di relazione tra le persone.

lunedì 5 gennaio 2009

Prima considerazione importante attorno all'esempio precedente


Il tizio di prima era in una situazione negativa. Risolvendo i suoi bisogni abbiamo eliminato la sua situazione negativa; avendo ottenuto un bel risultato dalle sue scelte ora avrà anche delle cose buone. In definitiva è passato da una situazione negativa ad una situazione positiva.
Se gli avessimo detto cosa fare, e lui l'avesse fatto, avrebbe le cose buone ma non avrebbe risolto quelle cattive. Avrebbe ancora la sua paura e la sua autostima non sarebbe cresciuta, e quindi in sostanza non sarebbe felice.
La sua felicità produrrà in noi un feedback positivo. Ci sarà grati per il bene che gli avremo portato, noi godremo della sua gratitudine e ci troveremo dunque in una situazione migliore rispetto a prima. Questo ci renderà felici. Se gli avessimo detto cosa fare questo non sarebbe successo, perché non ci troveremmo in una situazione migliore.
Invece in questo modo siamo entrambi felici, quando prima non lo eravamo. Questo mostra che con l'empatia si può generare la felicità.

domenica 4 gennaio 2009

Utilizzo «altruista» dell'empatia: un esempio generico


Prendiamo una persona impaurita, confusa e insicura (per i motivi che volete) che si trova (per i motivi che volete) in una situazione di stallo, blocco e indecisione. Qual è il modo migliore per trattarla?
Non possiamo suggerirgli le cose che deve fare, per almeno tre valide ragioni:
  1. perché sembreremo quelli che hanno la risposta in mano, facendo sembrare quella persona ancora più incapace;
  2. perché chi ha paura di fare un passo ha paura di fare anche quelli giusti;
  3. ma soprattutto perché una persona deve sempre avere l'impressione di fare da sé le scelte giuste.
Per questo gli suggeriremo le cose che non deve fare.
Gli avremo così limitato il numero di passi possibili, e quindi il numero di fonti di paura; ma gli avremo lasciato la possibilità di scegliere quali tra i passi giusti compiere. Se la sua scelta si rivelerà giusta (cosa che accadrà se noi gli avremo escluso tutti i passi sbagliati) la sua autostima crescerà, passerà la paura di sbagliare e il suo problema sarà essenzialmente risolto. Grazie a noi.

Utilizzo «egoista» dell'empatia


Il modo migliore per ottenere qualcosa da una persona è accordare il nostro desiderio ai suoi bisogni reali in modo che voglia darci spontaneamente quello che desideriamo noi.